Lucymé sono IO!

Anche per me quello era un mercoledì come tanti altri. 

Tu non credevi che potesse succedere. Caro il mio comunista. Sì comunista. Comunista e basta. L’unico epiteto che ti si può attribuire è solo questo. Per te il Comunismo è uno stile di vita, un modo di pensare. Persino di mangiare e farsi la doccia. “I bagnoschiuma troppo profumati non vanno bene, perché annullano il proprio odore”. Ha ragione su una cosa però. Non ti ho mai chiesto nulla sulle tue scelte politiche fino ad oggi. Mai. Anche se…. Hai sempre saputo come la pensassi. Oggi no. Oggi sapevi benissimo perché ti avevo chiesto espressamente, per una volta, per una stramaledettissima volta di non votare comunista. E di sostenere Lagherta. E sapevi anche il perché.

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Il fatto è che non esiste nient’altro per te. E non ci sono differenze tra persone. Buoni e cattivi, brutti e belli, ricchi e poveri, colpevoli o innocenti. Per te nessuna di queste distinzioni ha senso. L’unica cosa che conta per te è appartenere o no al Partito.

Mi sono anche fidata di te quando mi dicesti che non potevi far altro, nella tua esistenza, che far parte di quel maledettissimo Corpo Militare. Non ho neppure badato a quella meravigliosa offerta che ti aveva fatto mio padre, pur di farti felice. Del resto, non è che a noi serva essere ricchi. E neppure benestanti. Ci saremmo accontentati di poco. Di quel tuo stipendio…. Beh, lasciamo stare. Ero solo innamorata. Certo, lo ammetto, non ci è mancato nulla, del necessario. Però ogni volta che sento parlare mia sorella e delle sue vacanze a New York, a Santo Dominngo, in Germania (e solo per un weekend), eccome se non ci penso a mio padre. Me l’aveva detto lui: “non si vive di solo amore, Lucymé” . Ha anche la piscina, mia sorella.

Una cosa gli avevo chiesto e per un giorno solo della sua esistenza. Per un maledettissimo minuto in cui sarebbe stato nella cabina elettorale. Tanto era ovvio che non avrebbe vinto il partito comunista. Quando mai ha vinto? Cosa cambiava senza il tuo voto, Nama?

Tu parli sempre del fatto che la nostra è una vita perfetta. Che non ti piace nient’altro che il tuo lavoro e ritornare a casa per abbracciarmi. “Mi sembra così dolce che mi aspetti a casa”. I film ti sei fatto, e pure di terza categoria. Mica sto lì ad aspettarti tutto il tempo. Certi giorni neppure lo sai quanto vorrei che riprendessi quelle tue missioni all’estero per godermi un po’ di vacanza e andare a sfruttare la piscina di mia sorella. Cioè. Ma lo sa lui quanto ci vuole a stirare una divisa. Quanto rompe? Ma no, lui è orgoglioso di andare in giro con quella divisa da “io rappresento lo stato, salvo il mondo, ho sposato la giustizia”. Sì, però sono io che te la stiro la divisa. Avrei diritto anche io alla mia parte di stipendio, perbacco.

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Stiratela tu la divisa, vediamo come fai!

Io lo so che se tu fossi qui mi riterresti esagerata. Non lo sono. Perché io so perché la indossi. Ti piace far parte di un corpo e di un gioco in cui immagini che tutto giri attorno alla giustizia. Che fai parte di qualcosa di più grande di te e che stai salvando il mondo. Dalla corruzione, come dici tu. Tutte parole.

Avevo trovato il mio angolo di serenità. Il mio angolo di relax, con tanto di pettegolezzi e leggerezza, come lo chiamavi tu quando ancora eravamo solo fidanzati. E che fai tu? Me lo rovini. Già perché non ci credo che è stata la tua coscienza a farti votare quell’Innocenti lì. Che senso ha una coscienza che ti fa votare il perdente? La verità è una sola. Volevi ancora una volta allontanarmi da quel mondo. Quello in cui la gente mette il profumo, un vestito firmato ogni tanto, una chiacchierata su l’ultimo tradimento-scandalo. Quel mondo che hai sempre disprezzato. Come tutta la mia famiglia. Che importa se lo definisci epico-narrativo? E io che ti ho dato pure ragione per un certo periodo di tempo. Hai mai sentito dire che la gente si racconta delle storie perché fa bene sentirle? Ma no, tu e la tua libertà di pensiero. Che poi vorrei proprio vedere se Stalin avesse parlato di libertà di pensiero!

E dov’è la mia libertà di pensiero? Non sono forse libera di godermi quei meravigliosi racconti epico-narrativi nel circolo che avevo iniziato a frequentare?

Ho una notizia per te, caro il mio comunista amico di Comunisti. Più di un tuo amico ha votato Lagherta. E solo perché gli sbavano dietro. Ecco dove finisce la coscienza. Nella bussola che ogni uomo tiene tra le gambe, ecco cosa ha orientato il loro voto in cabina. E ora passerà un po’ di tempo prima che qualcun altro ti scalderà il letto e ti aspetterà dolcemente, come dici tu, quando cedi al romanticismo e fai l’apoteosi della nostra storia d’amore. Senza dimenticare la mia magica quinta. Devo essere sincera, scommetto che passerà un bel po’ di tempo prima che tu ne possa vedere ancora una. E se proprio vuoi saperlo, mi sa che anche tu te le sei raccontate di storie! Comuniste, ci mancherebbe.

Sì, perché caro il mio Comunista, non vedi al di là del proprio naso. E alla faccia di tute le convinzioni agnostiche e di libertà di pensiero, mi pare, al di là del pensiero comunista, in te, non rimane nulla. Non c’è spazio per nulla. Sei più assolutista di Luigi XIV.

Apri gli occhi. Sai quanti anni di autonomia ancora avrà la mia quinta che tanto apprezzi? Ancora uno o due. Sempre che ci stia attenta. Sai quanti ne avrebbe se smettessi di tirartela tanto con quel Corpo Militare e accettassi la proposta di mio padre? Più infinito praticamente. Mia madre, a 70 anni, sembra che nessuno gli abbia scalato l’Everest, davanti. E non è mai stata dotata come me, da giovane.

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La mia direzione

Quindi sì. Ho deciso di andarmene prima che passino quei due anni, in cerca di qualcuno meno rigido di te. Uno che non deve per forza votare sempre Comunista perché glielo dice la coscienza, ma come gli conviene a lui.

Tu veramente pensavi che il tuo voto rimanesse segreto? Solo tu potevi pensarlo. Voglio un opportunista al mio fianco. Un maschio alfa che si profuma perché gli altri si girino ad annusarlo. Uno che fa anche battute sul Grande Fratello non perché è stupido, ma perché è divertente. Uno che si prende il primo posto al parcheggio della sua ditta perché gli va e non fa la gentilezza di lasciarlo al lavoratore più anziano, per rispetto. Uno che si batte per i posti rosa perché è figo. E non si mette anche in questo caso a fare politica per dire che i parcheggi rosa non fanno altro che confermare la disparità di genere. E soprattutto uno a cui non devo stirare quella maledettissima divisa da Corpo militare.

Ora scendo, vorrei sgranchirmi le gambe e rilassarmi davanti un caffè. Stavolta me lo prendo americano. Solo per fargli un dispetto a quello.

  • Prego
  • Un caffè americano…. Corretto.
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Sette ne voglio, quanto i sette nani.

Sembra un’eternità che ho ordinato questo maledettissimo caffè. Ah, eccolo.

  • Carine queste tazze blu.
  • Sono in offerta, se vuole le può comprare.
  • Bene, ne prendo 7.

Basta con i numeri pari!